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Roma. Teatro Cometa Off: quattro storie per “La fine della fiera”

Autore: Marco Pennacchia
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Al momento di entrare in sala, loro sono già presenti sul palco. Si trovano nella penombra e questo è l’unico elemento che sembra distinguerli dal pubblico. Pian piano la gente inizia a prendere posto. Poi i ruoli si invertono in maniera graduale e sfumata. Il buio s’impossessa degli spettatori mentre la luce dà fisionomia a chi prima era nell’ombra. Che sia un gioco voluto? Forse una testimonianza dell’inevitabile legame del teatro con la vita? O forse si intende sottolineare il forte nesso delle vite narrate in scena con le vite sedute sulle poltrone? Fatto sta che i quattro protagonisti iniziano a parlare. Si tratta di monologhi incrociati, attraverso i quali ognuno avrà modo di raccontarsi. Essi non si conoscono ma le loro esistenze sembrano da subito avere qualcosa in comune. Nessuno ci svela il proprio nome. Sono semplicemente uomini. Abbiamo di fronte storie di tutti i giorni, molto più comuni di quello che si creda. Anche la scenografia ne è un segno: la sua povertà ci dice che stiamo ascoltando storie semplici. Così come semplice è il linguaggio usato. C’è l’uomo che non riesce ad amare (Francesco Venditti), il cui impiego è quello di tagliare teste aziendali. La sua realizzazione è nell’immagine: nelle cravatte e nelle scarpe firmate. Il suo rimorso viene soffocato dai benefit aziendali. Ma un giorno una delle sue “vittime” gli rivela che la propria defezione è causa di un errore nei documenti burocratici. C’è l’uomo che non crede nell’amore (Riccardo Scarafoni) ma che, invece, si scoprirà innamoratissimo della propria moglie, soprattutto quando la sorte le riserverà un destino atroce. C’è lo scrittore che non ha più nulla da scrivere (Fabrizio Sabatucci). Cerca, allora, di trovare un lavoro che non impieghi la testa. Viene costantemente licenziato ma, nonostante tutto, ha sempre la forza di reagire fino a quando i continui insuccessi non avranno la meglio sul suo animo troppo sensibile. C’è infine la giovane archivista (Veruska Rossi) che cataloga i video da casa ed è per tal motivo che non esce mai. Soffre del disturbo di personalità multipla. La sua storia è forse quella più tragica, forse perché lo è anche il segreto che l’ha ridotta in questo stato.

I quattro monologhi sono legati dal movimento. Un personaggio compie un gesto che sarà imitato da chi prenderà la parola. Il legame più intenso ma anche più amaro sarà, però, il finale. In quel momento non si potrà che provare empatia per questi personaggi che rappresentano eroi invisibili del nostro tempo. Un sentimento mosso anche dalla suggestiva colonna sonora e dalla vigorosa interpretazione dei quattro protagonisti.Quando bisogna abbandonare la sala, la luce accomuna mentre prima divideva. Siamo sicuri di esserci distaccati da ciò che abbiamo sentito? Forse il gioco degli specchi ha funzionato a dovere.

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