a cura di: Marcello Isidori
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Sempre su questo sito, qualche anno fa, avevamo segnalato un bel testo(*) di Lorenzo Gioielli rappresentato a Roma con buon successo. In quel lavoro l’autore affrontava, con il suo tipico stile brillante e arguto, una tematica delicata e difficilmente toccata soprattutto dalla commedia. L’argomento in questione è riferito alla malattia terminale che conduce inevitabilmente alla morte. Si tratta di una situazione con la quale tutti hanno difficoltà a confontarsi, sicuramente nella vita ma anche se ci si siede in una poltrona di un teatro. Eppure, a me sembra, la commedia è proprio lo strumento migliore per avventurarsi nel dolore di simili situazioni con cui, prima o poi, direttamente o indirettamente, chiunque si trova a dover fare i conti. Anche in questo spettacolo l’autore crea dunque quattro personaggi coinvolti in vario modo da un’esperienza di morte imminente e che appare subito difficilmente evitabile.
I vincoli di parentela o di amore che legano i quattro protagonisti, rivelano presto anche qualcosa di diverso e ancora più profondo, man mano che l’azione, che si sviluppa tutta in tempo reale nella stanza di un ospedale, ci mostra oltre l’immediato ed il visibile, rivelandoci i segreti e le vicende che legano i personaggi. E sarà proprio il malato terminale, non dirò in che modo, il perno ed il tramite di questi svelamenti, quasi a voler significare che nessuno può fare a meno di mostrarsi per quello che è realmente se si confronta con la morte. I dialoghi si sviluppano articolati e divertenti tra arguzia ed ingenuità, luoghi comuni e trovate originalissime, agitati da tenui conflitti, incomprensioni ma anche da complicità e condivisioni. Le pause ed i silenzi, numerosi, sono a volte carichi di significato, ma altre, a mio parere, risultano vuoti togliendo qualcosa alla brillantezza dell’azione scenica. Gli attori mostrano comunque naturalezza e verità, risultando convincenti nella maggior parte dello spettacolo. Gli spettatori vengono coinvolti in questa vicenda intima e riservata soprattutto dalla simpatia dei personaggi, tutti diversi tra loro, ed ognuno a suo modo caratterizzato quel tanto che basta per far intuire la propria storia e la propria personalità. E per una volta almeno ci si sente comunque bene davanti allo spettacolo di un amore spezzato e di una vita che finisce nel dolore di chi resta.
I vincoli di parentela o di amore che legano i quattro protagonisti, rivelano presto anche qualcosa di diverso e ancora più profondo, man mano che l’azione, che si sviluppa tutta in tempo reale nella stanza di un ospedale, ci mostra oltre l’immediato ed il visibile, rivelandoci i segreti e le vicende che legano i personaggi. E sarà proprio il malato terminale, non dirò in che modo, il perno ed il tramite di questi svelamenti, quasi a voler significare che nessuno può fare a meno di mostrarsi per quello che è realmente se si confronta con la morte. I dialoghi si sviluppano articolati e divertenti tra arguzia ed ingenuità, luoghi comuni e trovate originalissime, agitati da tenui conflitti, incomprensioni ma anche da complicità e condivisioni. Le pause ed i silenzi, numerosi, sono a volte carichi di significato, ma altre, a mio parere, risultano vuoti togliendo qualcosa alla brillantezza dell’azione scenica. Gli attori mostrano comunque naturalezza e verità, risultando convincenti nella maggior parte dello spettacolo. Gli spettatori vengono coinvolti in questa vicenda intima e riservata soprattutto dalla simpatia dei personaggi, tutti diversi tra loro, ed ognuno a suo modo caratterizzato quel tanto che basta per far intuire la propria storia e la propria personalità. E per una volta almeno ci si sente comunque bene davanti allo spettacolo di un amore spezzato e di una vita che finisce nel dolore di chi resta.
Al Teatro della Cometa di Roma fino al 31 gennaio 2016