Le Conseguenze della Vita
Autore: Silvia Pellegrino
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«La maggioranza dell’umanità vive un’esistenza di tranquilla disperazione» scriveva Henry David Thoreau. E se questa tranquilla disperazione, edulcorata da pillole di ordinaria quotidianità, si accorgesse di un’impercettibile fessura? Della linea di confine che separa la vita e la morte? Il pubblico ammutolito, sta a guardare. Quattro storie, quattro personaggi, tre uomini e donna che spasmodicamente grattano con le unghie lembi di esistenza per aprire quella fessura e raccontare, raccontarsi, con assoluta semplicità. Un’archivista affetta da personalità multipla, uno scrittore che ha smesso di scrivere, un cinico uomo d’affari ed un altro malato d’amore, loro i protagonisti dello spettacolo “La fine della fiera” di Daniele Prato e Francesca Staasch, messi a nudo attraverso confidenze terribili, amare, a volte buffe a volte disperate, intrecciando intensi monologhi legati da un unico nodo che, sbrigliata la matassa, li racchiude in un comune destino. Quattro microspazi esistenziali prendono forma poco a poco, inchiodando il pubblico eccitato e curioso, svelando animi deformati che tentano continuamente di rifuggire da quei luoghi polverosi che affaticano la coscienza: psicofarmaci, distrazioni, lavoro, benefit aziendali, illusioni, innumerevoli escamotage offuscano le menti dei personaggi, portandoli lontani dalla verità. La costruzione artificiosa di una dimensione spazio-temporale fittizia accomuna nuovamente i protagonisti anonimi, soli, eppure uniti:
UNO
L’uomo d’affari, (Francesco Venditti), carezza la sua cravatta numero ventidue, costosissima, il suo compito è “regolare” gli imprenditori per conto dei capi, qualche appaltatore che non ha agito con “cautela” viene soffocato da documenti che tagliano come lame sottili, fanno male. Un prezzo caro da pagare, forse troppo. Eppure lui non è un assassino, osserva le sue mani: sono pulite. Ma la violenza si concretizza nel suo cinismo, nella sua indifferenza che prima o poi bussa alla camera di un lussuoso albergo, in un lussuoso quartiere, in qualche parte del mondo: l’artificio si sgretola di fronte una furiosa epifania. Buio.
DUE
Non ha più niente da scrivere, non è una colpa certo, ma una straziante condizione, che fare? Lo scrittore, o meglio ex scrittore (Fabrizio Sabatucci), stila una lista, primeggia il lavoro, ma quale? Una sola cosa è certa: basta collegare il pensiero al ticchettio dei tasti che scandisce la fantasia, basta scrivere. Le mani, quelle mani che cullavano la sua scrittura flettono tubi, puliscono giardini, saldano pezzi di ferro, fanno il gelato, stringono mani sconosciute per poi impugnare il nulla. Emarginato e senza un soldo, lo scrittore errante prosegue stordito, niente da scrivere, niente da fare, niente da perdere. Una nuova epifania, rincorsa tra mille ricordi di un passato lontano, lo abbaglia nel mezzo di una strada qualunque, in un quartiere qualunque, in qualche parte del mondo. Luce.
TRE
Un adolescente annientato dagli acidi, una suora devota, un’ammiccante pornostar, un professore svogliato: tutti e nessuno. Chi è questa donna? L’archivista (Veruska Rossi), come un ragno tesse i fili di una spessa e intricata ragnatela, mietendo vittime innocenti e immaginarie che punisce per non affrontare un dolore talmente forte da squarciare il cuore come una pallottola. In silenzio si droga di immagini, stufa della solitudine ospita nella stanza nuovi prigionieri frutto della sua fantasia, che l’accompagnano verso un lento oblio, mentre una nostalgica epifania affronta la narcosi, in un giorno qualsiasi, in una casa qualsiasi, da qualche parte del mondo. Ombra.
QUATTRO
Cos’è l’amore? Come definirlo? Esiste? È per sempre? Tante domande attendono altrettante risposte. Qualcuno bussa alla porta dell’uomo malato d’amore (Riccardo Scarafoni), una donna varca la soglia rivoluzionando la sua vita: mette in ordine, deterge, deodora, cura, stira, lava, ama. È confuso, stordito, l’uomo malato d’amore è uno straniero nella sua casa strabordante di ninnoli, poco a poco impara a sottostare alle nuove regole stampate su fogli Excel, affogando la confusione tra birra e carezze. La convivenza riempie le giornate di risate e litigi, senza sosta, scaldando il cuore dell’uomo malato d’amore, l’uno impara a vivere con l’altro, dell’altro, l’incontro-scontro di due esseri diversi dà alla luce un sentimento univoco, che non ammette dubbi né interpretazioni, che si ciba solo di due anime, che non concede alterazioni. Ma qualcosa va storto, una misteriosa trasparenza blocca il respiro di un’anima, come un parassita che oltrepassa l’evanescente pellicola epidermica, divorandola lentamente. Una debole epifania entra dalla finestra, silenziosa e letale, in un attimo qualunque, di un giorno qualunque, in una stanza qualunque. Vuoto.
Alla fine della fiera i quattro “saltimbanchi” disperati, stufi della messa in scena, calano il sipario abbandonando l’illusione, ma la verità è così accecante che non resta che chiudere gli occhi, senza remore né giudizio.
Francesco Venditti & Azteca Produzioni Cinematografiche srl
presentano
LA FINE DELLA FIERA
di Daniele Prato e Francesca Staasch
Regia: Riccardo Scarafoni – Scene: Oliver Montesano – Costumi: Sabrina Beretta
con Veruska Rossi, Fabrizio Sabatucci, Riccardo Scarafoni, Francesco Venditti
Roma, Teatro Cometa-Off, dall’8 marzo al 27 marzo 2011