a cura di: Maria Vittoria Solomita
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Dario (interpretato da Fabrizio Sabatucci) è la stabilità, è il punto di riferimento costante, il motore immobile fattosi uomo, un semplice che vede l’esistenza altrettanto semplicemente. Sua moglie Ilaria ha le fattezze di Veruska Rossi, attrice e autrice già apprezzata in altre opere allestite al Cometa. Ilaria è la precarietà e, come tale, trova un contrappunto nel marito; teme di perdere il sostegno e la sicurezza costruiti grazie all’unione matrimoniale, eppure resta un’autolesionista costantemente sull’orlo della crisi decisiva.
Emanuele, che (s)veste i panni di Francesco Venditti, è l’Amore assoluto, totalizzante e sprezzante di barriere sessuali; un cupidone sacrificato dalla tunica ospedaliera. E’ il compagno di Marco che, in quanto proto-vedovo, rappresenta il dolore. Marco (Riccardo Scarafoni) soffre per l’imminente perdita della dolce metà e per la bomba che il lutto farà esplodere nella sua organizzatissima vita. Non a caso, Marco è un antiquario: si circonda di materiale di facile catalogazione. Scatola cinese vuole che Marco-Scarafoni-amante dell’ordine e della direzione sia anche il regista dell’opera. Chiamiamola coerenza.
“Vita morte e miracoli” torna in scena dopo il buon risultato della scorsa stagione. «Uno spettacolo che ancor prima di coinvolgere il pubblico, cattura chi lo recita» ha spiegato il regista. E pensare che all’autore, Lorenzo Gioielli, avevano commissionato una commedia. Il testo ha sicuramente del comico. Tutto nasce da un paradosso, che ad alcuni può risultare un miracolo, ad altri una disgrazia: la possibilità di intrecciare vita fisica e metafisica.
Gli attori hanno lavorato sui personaggi aggiungendo di proprio pugno. Le due coppie, il fratello e la sorella, i cognati, gli eterni fidanzati hanno acquisito delle sfumature che, secondo l’autore del testo, erano bloccate su carta. Il salto al 3D è riuscito. I corpi si muovono bene e ricostruiscono certe ansie che sperimentiamo di fronte all’ineluttabile, quando qualcuno sta per morire e ci lanciamo in valzer di eufemismi ed ellissi svenevoli pur di rimuovere che sig. X ci ha rovinato la vita, almeno ora che sta per lasciarci, anzi, il signore sta passando a miglior vita, se dobbiamo dirla tutta, sbeffeggiandoci ancora una volta.
Insomma, quella inscenata al Cometa è una veglia funebre dallo humour inglese, incanalata nella scia black alla “Funeral party”.
Molto valido il lavoro di Lisa Sorone, che propone costumi dalle tinte calde, agli antipodi dei cliché ospedalieri. Ma le tonalità giocate tutte su marronegiallocrazuccavinaccia causano un cortocircuito sensoriale che, ripiegandosi su se stesso, produce un’inquietante claustrofobia. E questo, sì, ci riporta ad un’immagine generalizzata di cliniche e fin di vita.
Al Teatro della Cometa fino al 31 gennaio